“Una volta quando ero bambina durante la passeggiata del mercoledì, mio padre mi comprò una palla di filo di ferro con tante perline, che divenne la mia passione. Toccandola potevo appiattirla in una spirale facendola diventare una sfera cava. E quando aveva ripreso la forma rotonda, sembrava una minuscola Terra, perché i fili formavano lo stesso reticolo di cerchi intersecantisi che a scuola avevo visto sul mappa mondo.
[…] Mio padre mi portò in spalla dalla Quinta Strada al Rockefeller Center, dove ci fermammo a guardare la statua di Atlante, che sostiene cielo e terra.
Il globo di bronzo sorretto da Atlante, simile al giocattolo che tenevo in mano, era una sfera cava, definita dalle linee immaginarie dell’Equatore, dell’Eclittica, del Tropico del Cancro, del Tropico del Capricorno, del Circolo Polare Artico, del meridiano fondamentale.
Già allora la griglia della carta millimetrata che avvolge il globo era ai miei occhi un potente simbolo delle terre e delle acque del pianeta.
Sono proprio le linee della latitudine e della longitudine che definiscono il mondo con un’autorevolezza che non avrei mai immaginato quaranta o più anni fa. Il loro tracciato rimane fisso mentre sotto il reticolo tutto cambia: con la deriva dei continenti in un mare che si dilata sempre più; e i confini delle nazioni ripetutamente ridisegnati dalla guerra e dalla pace.”*
La latitudine e la longitudine definiscono il mondo che conosciamo con autorevolezza
afferma Dava Sobel.
70 anni fa è accaduto qualcosa di molto simile: Harry Markowitz definì la longitudine e latitudine della Finanza introducendo il concetto di rischio e di rendimento, gettando così le basi del mondo finanziario per come lo conosciamo oggi.
Qualche giorno fa, all’età di 95 anni, Harry Markowitz ci ha lasciato. Quando ho letto la notizia ho avuto la sensazione di aver perso un caro amico. Qualcuno che grazie alle sue idee, alla teoria della costruzione efficiente di portafogli di investimento, è stato costantemente accanto alla vita lavorativa di migliaia di consulenti finanziari. È stato un po’ come perdere Albert Einstein, Marlon Brando o Elvis Presley… grandi personaggi che hanno segnato un’epoca storica.
Quanto è stato importante Markowitz per la Finanza, lo racconta lui stesso nella “lecture” di assegnazione del premio Nobel il 7 dicembre 1990 pag. 286**:
“Infine, vorrei aggiungere un commento sulla “teoria del portafoglio” come parte della Microeconomia in condizioni di incertezza. Tale teoria non sempre è stata considerata tale. Ad esempio, quando ho difeso la mia tesi da studente presso il Dipartimento di Economia dell’Università di Chicago, il professor Milton Friedman ha sostenuto che la teoria del portafoglio non fosse Economia e che non potevano assegnarmi un dottorato di ricerca in Economia con una tesi che non era in Economia. Presumo che fosse mediamente serio quando ha pronunciato quelle parole, visto che mi hanno conferito la laurea senza troppe discussioni. Quanto alla fondatezza delle sue argomentazioni, a questo punto sono disposto ad ammettere: all’epoca [anni ’50] in cui ho difeso la mia dissertazione, la “teoria del portafoglio” non faceva parte dell’Economia. Ma ora lo è.”
Il suo lavoro è stato oggetto di grandi elogi, ma allo stesso tempo anche di feroci critiche, soprattutto all’indomani della Grande Crisi Finanziaria (GCF) del 2008.
La GCF aveva infatti portato alla superficie un problema “ strutturale”: la difficoltà di stimare nel tempo (con una certa precisione) la varianza delle diverse classi di investimento e le loro correlazioni incrociate. Il modello non superò il “test” della crisi del 2008 perché, da un momento all’altro, si scoprì che il mondo non era fatto solo di rischio (qualcosa che può essere calcolato), ma anche, se non soprattutto, di incertezza.
In quel frangente Markowitz continuò a difendere il suo lavoro, affermando che la teoria dell’ottimizzazione media-varianza aveva continuato a funzionare anche durante la crisi. Certo, l’aumento inimmaginabile del rischio Sistematico (quello appunto legato alla tenuta del sistema finanziario) aveva “travolto” come un’onda anomala quello Idiosincratico (quello specifico legato al singolo titolo o strumento), però lo studioso faceva notare come nonostante ciò, tutti gli asset non erano diminuiti nella stessa maniera e i beta azionari, ad esempio, avevano continuato a funzionare: “I mercati emergenti con un beta maggiore di 1 sono scesi di più dello S&P 500”*** scrisse poco dopo. La risposta di Markowitz riassunta in un’immagine era: tutto è scivolato in basso e a destra, mantenendo comunque una certa proporzione.
Un’ulteriore critica attaccava l’uso della varianza (volatilità degli asset) quale unico fattore di rischio del modello, denunciando quanto questo elemento dipendesse dall’ipotesi che i rendimenti seguissero la distribuzione della curva a campana di Gauss (distribuzione che sottostima drasticamente ciò che avviene nella realtà). A tal riguardo Markowitz era solito rispondere***:
“Due cose mi rendono iperattivo: l’una è troppa caffeina, e l’altra è quando mi viene chiesto per la millesima volta perché sto assumendo una distribuzione gaussiana per i rendimenti. Non ho mai ipotizzato rendimenti gaussiani. Ho dimostrato che i portafogli efficienti si avvicinano alla massimizzazione dell’utilità attesa per un’ampia varietà di funzioni di utilità. Ho ripetuto questa cosa più e più volte finché non sono diventato blu in faccia. Se gli operatori hanno assunto distribuzioni gaussiane e hanno pensato che stavano correndo solo quei rischi li, è perché non hanno letto correttamente il mio lavoro”.
A distanza di anni, tali critiche non sono riuscite a spazzar via la Teoria della Frontiera Efficiente, ma anzi hanno creato le premesse per esplorare un altrove. Lo stesso Markowitz, insieme ad altri studiosi, si fece promotore di quest’ulteriore balzo in avanti. Infatti, nel 2010, il premio Nobel firmò una ricerca**** che affermava come la gestione di un portafoglio composto da diversi sotto-portafogli con specifici obiettivi, non è necessariamente irrazionale ed inefficiente.
Tale affermazione a quel tempo (forse per alcuni ancora oggi) aveva qualcosa di stupefacente. Per decenni l’interpretazione accademica della Moderna Teoria del Portafoglio di Markowitz aveva osteggiato questa possibilità.
Cosa successe quindi? Come mai Markowitz decise di avallare tale lavoro?
Il risultato dello studio sottolineava che se il rischio nei portafogli Goal Based è dato dalla probabilità di non raggiungere i diversi obiettivi, matematicamente l’analisi dei portafogli che hanno la probabilità più elevata di andare ad obiettivo, sfrutta lo stesso meccanismo di media-varianza che è alla base del modello di Markowitz.
In altre parole le probabilità diventano funzione della capacità dei “portafogli efficienti” di andare (o meno) ad obiettivo e devono quindi essere oggetto di un lavoro di ottimizzazione.
A mio avviso, tale passaggio non è mai stato sottolineato abbastanza per capire l’impatto pratico nel nostro lavoro e per valutarne l’importanza storica, perché:
- da una parte, ha permesso la fusione tra la Moderna Teoria del Portafoglio (Frontiera Efficiente) e la Goal Based Asset Allocation*****;
- dall’altra, ha permesso lo sviluppo e la diffusione del Goal Based Investing su basi teoriche più solide.
Tutto questo ha permesso di far sposare ciò che definisco dall’inizio di questa avventura:
la frontiera efficace del Goal Based Investing
con la frontiera efficiente di Markowitz
*”Longitudine”, Dava Sobel BUR Saggi 1999
**https://www.nobelprize.org/uploads/2018/06/markowitz-lecture.pdf
**** ”S. Das, J Scheid, M. Statman: “Portfolio Optimisation with Mental Accounts” 2010 Journal of Finance and Quantitative Analysis 45, n.2
*****JLP Brunel “How Suboptimal is Goal Based Asset Allocation”, Journal of Wealth Management 9, n.2 (2006)
H Shefrin e M. Statman, “Behavioural Portfolio Theory”
Journal of Finance and Quantitative Analysis 35, n.2 (2000)