Conosci il famoso mito della caverna di Platone?
In questi giorni, parlando con alcuni consulenti a proposito della compagnia assicurativa Eurovita, mi è tornato in mente.
“Alcuni uomini” affermava Platone “fin da bambini sono incatenati in una caverna sotterranea, costretti a guardare una parete in fondo. Alle loro spalle arde un fuoco. Tra i prigionieri e il fuoco, altri uomini trasportano oggetti che, illuminati dalla fiamma, proiettano le loro ombre sul fondo della caverna. I mal capitati guardando le ombre proiettate sulla parete pensano, di conseguenza, che queste siano reali. Un giorno, un prigioniero riesce a liberarsi. Esce dalla caverna e essendo stato per tanto tempo al buio all’inizio è accecato dal sole e non riesce a vedere le cose intorno a sé. Dopo un po’, piano piano gli occhi si abituano alla luce permettendogli di vedere prima le cose reali, di cui aveva conosciuto solo le ombre, e poi persino il sole”.
A volte la vita ci porta a distinguere tra l’apparenza delle cose (le ombre della caverna) e le cose così come sono (gli oggetti illuminati dal sole).
La lezione che portiamo a casa dal caso Eurovita ci insegna a distinguere tra apparenza e realtà. Siamo di fronte ad un evidente mismatching tra i valori e gli obiettivi, per i quali la proprietà di Eurovita ha investito, e le aspettative in termini di tempo e risultato dell’investimento stesso (complice anche l’imprevisto).
Il pericolo “disallineamento” è una trappola in cui tutti possono incappare. Anche i consulenti finanziari super attenti a volte non riescono ad allineare tra di loro valori, obiettivi e soluzioni/investimenti dei propri clienti.
Mi spiego meglio.
La proprietà di Eurovita è in mano ad un fondo di Private Equity dal nome Cinven*.
Cinven ha come valore guida la massimizzazione del rendimento degli investimenti del suo portafoglio di partecipazioni in un periodo di tempo abbastanza breve. Sul proprio sito Cinven dichiara che i tempi delle partecipazioni nelle aziende in portafoglio è tipicamente pari a 4-5 anni**.
Cinven inizia l’investimento sul mercato assicurativo italiano nel 2016:
- inizialmente con l’acquisizione e ricapitalizzazione di Ergo Italia che lo stesso anno acquisisce Old Mutual Wealth Italy;
- successivamente passa alla creazione di una società holding dal nome Phlavia Investimenti che compra nel 2017 Eurovita;
- per poi procedere con la fusione delle società operative (Ergo, Old Mutual in Eurovita)
- creando l’attuale gruppo Eurovita Holding (ex Phlavia investimenti) ed Eurovita.
L’idea di fondo è sempre la stessa: fare aggregazioni e creare un gruppo con una certa scala (clienti, mix prodotti, … ), efficienza economica e massa critica in modo tale da trovare in seguito un compratore.
Siamo nel 2022. Sono passati 6 anni (più dei 4-5 medi per gli investimenti in portafoglio di Cinven) e, dopo il Covid (2020), ecco entrare in campo il secondo imprevisto, cioè la combinazione tra questi 2 fattori:
- il peggior anno (o uno dei peggiori anni) della storia dei rendimenti dei titoli obbligazionari (di cui sono piene le polizze Ramo I, ma non solo);
- il rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa di tutela dei rischi delle compagnie assicurative Solvency II.
Tutte le compagnie, infatti, devono rispettare dei requisiti minimi di Solvency Capital Requirement (SCR) per poter onorare con una probabilità del 99,5% gli obblighi nei confronti degli assicurati nei 12 mesi successivi alla valutazione.
L’andamento particolarmente negativo dei mercati obbligazionari (e azionari) ha avuto come conseguenza l’esigenza di aumentare il livello di guardia dei valori di capitale necessari a coprire i rischi di insolvenza (SCR). Da qui è scaturito il segnale di allarme che ha portato le autorità a controllare che tutte le compagnie fossero in grado di rispettare i parametri di legge.
Nel caso di Eurovita, IVASS, dopo un’ispezione, chiede a Eurovita (Cinven) un aumento di capitale per circa 200 milioni euro.
Ed è qui che la differenza tra le ombre e le cose diventa evidente.
Cinven, che nel 2021 aveva già avviato un processo di vendita del gruppo Eurovita (non andato a buon fine perché non aveva considerato soddisfacenti le offerte ricevute), si trova di fronte all’aut aut dell’Autorità di vigilanza sul processo di ricapitalizzazione.
Eccoci al punto: diventa palese l’impossibilità di allineare valori, obiettivi (di rendimento dell’operazione) e tempi di Cinven con l’incertezza economica di questi ultimi anni e con la tutela regolamentare di un settore come quello assicurativo.
Per questo Cinven dichiara di:
non voler procedere con la ricapitalizzazione richiesta
e l’Autorità di vigilanza è obbligata a commissionare la società (la prima volta che accade per una compagnia vita) per far rispettare la norma e tutelare i sottoscrittori.
Vedo una certa analogia con quelle operazioni di investimento retail dove:
- valori;
- obiettivi di vita;
- investimenti;
- rischi;
- e tempi;
sono al limite della sostenibilità o sono palesemente insostenibili.
Io sono un ottimista in generale.
In questo caso specifico, penso che le autorità competenti riusciranno a trovare una soluzione (nuovi soci) per far proseguire l’attività della compagnia.
Sono ottimista per 2 motivi:
- le dimensioni di Eurovita sono abbastanza grandi sia per attrarre compratori che per spingere le autorità a profondere ogni sforzo possibile: 350.000 clienti in Italia, con riserve e investimenti per circa 16 miliardi di euro**;
- l’ “eccezionalità”, concessa ad alcuni strumenti assicurativi (vedi ad esempio le “Gestioni separate”), di valutare le riserve al costo storico e non ai prezzi di mercato dà sicuramente un vantaggio psicologico importante a queste soluzioni (i sottoscrittori non vedono oscillare i prezzi dei sottostanti delle polizze e, di conseguenza, la relativa percezione del rischio non c’è). Questo vantaggio è giustificabile solo se dietro c’è un meccanismo regolamentare e di copertura economica che gestisce in modo efficace tale rischio non immediatamente visibile ai sottoscrittori. Sarebbe un colpo fatale per le Autorità di vigilanza, per i sottoscrittori e per l’intero mercato assicurativo dover vedere la compagnia costretta a vendere prima della scadenza i titoli obbligazionari (circa 80% degli asset) a prezzi che farebbero emergere le perdite dovute a un 2022 molto negativo. Perdite che invece potrebbero essere riassorbite se i titoli fossero portati a scadenza.
Detto questo, quanto accaduto ci obbliga a porci qualche domanda:
- esiste un rischio nel permettere a capitali “poco pazienti” di avere accesso a mercati molto regolamentati e con potenziale gran assorbimento di capitale come quello assicurativo?
- quanto è giusto tollerare questo gap di consapevolezza da parte dei sottoscrittori e il conseguente gap di diversificazione nei loro portafogli (la scarsa consapevolezza sui rischi spinge una maggiore concentrazione sulle soluzioni percepite a basso rischio)?
Sono sicuro che da questa storia impareremo ancora qualcosa nel prossimo futuro.
*https://www.cinven.com/where/investments/?f=sector-1125.status-current
**Sole 24 Ore inserto Plus del 11 febbraio 2023