Goal Based Investing: un atto di equilibrio precario

In ogni famiglia c’è chi mette a posto e chi invece è a proprio agio nel disordine. Un membro della mia famiglia (non ho la liberatoria per svelare la sua identità!) fa parte del gruppo “fatalista”: il Fato ha voluto che la carta cadesse in terra e che restasse lì, o che le briciole cascassero dal panino al tavolo senza poter sperare in un piattino… fino a quando un eroe senza paura cercherà di frapporsi tra il volere del Fato e il caos, riportando il tutto ad una parvenza di ordine.

Per alcuni di noi un ambiente ordinato è rilassante. Per altri mettere in ordine è un’incombenza noiosa e irritante.

Da piccoli, chi più chi meno, siamo stati tutti disordinati. La ragione è abbastanza ovvia: qualcun altro si prendeva cura di noi e sistemava i nostri giochi nella cesta e la biancheria nei cassetti. Ad un certo punto della nostra vita però, l’ordine è diventato una nostra responsabilità.

Di fronte a questa scelta, alcuni si sono abituati e non ne hanno sentito il peso; anzi il disordine adesso causa rash cutaneo e la necessità compulsiva di sistemare tutto. Qualcun altro, invece, ha sviluppato il pensiero dell’ “ordine a corollario”: un armadio che non ha mai conosciuto né un’armocromista né Marie Kondo non è un elemento di disturbo, una scrivania che pare un Himalaya di carte accatastate è solo un dettaglio di un panorama familiare. Alla domanda: ”Ma come fai a trovare le cose che ti servono ogni giorno?” la risposta zen è: “Quello che a te sembra disordine, per me è ordine”. E magari è vero!

Ma cosa è meglio? Abituarsi a sistemare le cose o vivere serenamente nella confusione? Tenere la scrivania in perfetto ordine allineando penne per ordine cromatico o viverla organizzandola come farebbe Katrina (l’uragano)?

Difficile da dire! Ci sono manuali pro-ordine che sostengono la tesi dell’armonia esterna come specchio di quella interiore. Altri invece ritengono che il caos e la confusione favoriscano la creatività, la generazione di idee.

A farla breve, questo è uno di quegli argomenti in cui ognuno ha la propria opinione che potrebbe essere valida tanto quanto quella diametralmente opposta.

A volte però dobbiamo necessariamente scontrarci con un ordine inalienabile; mi riferisco per esempio a quando abbiamo a che fare con un calcolo di matematica.

Se devo moltiplicare 1.235 per 49 devo collocare i numeri in un certo modo perché se li scrivo così sarebbe difficile ottenere un risultato:

Però anche la ordinatissima matematica contempla al suo interno degli elementi che creano zizzania.

Mi riferisco allo “zero” e all’ “infinito”. Zero e infinito non sono due numeri, sono dei veri guastafeste.

Che cosa accade se moltiplichi un numero qualsiasi per zero?

Il risultato è sempre zero. E questo lo scopriamo già in quarta elementare… Lo zero è sempre più forte del suo compagno moltiplicatore: lo sovrasta, non c’è niente da fare.

La stessa cosa accade con l’infinito: un numero moltiplicato per infinito dà sempre infinito.

Se ne deduce allora che zero e infinito assimilano come un buco nero ciò che vaga nei dintorni, creando risultati a propria immagine e somiglianza.

Cosa otterresti invece se moltiplicassi zero per infinito? Chi vincerebbe?

Ebbene questa operazione non ha una risposta. Strano ma vero! Anche nell’ordinatissima matematica ci può essere disordine.

“Ogni ordine è un atto di equilibrio di estrema precarietà”*

affermava W. Benjamin, e non si può che essere d’accordo con lui. A casa con i nostri figli, in ufficio o nella pianificazione finanziaria e patrimoniale con i nostri clienti, l’ordine è faticoso da implementare ed ha sempre la forma di un equilibrio precario.

Nella mia esperienza finanziaria ne ho avuto conferma quando:

  • ho letto Mandelbrot** e la sua ricerca sulla geometria frattale dove prova a trovare ordine nel disordine dei mercati;
  • ho lavorato in una società di gestione del risparmio che grazie a strategie e fondi hedge pensava di rendere ordinata la complessità dei mercati.
  • oggi, parlando di Goal Based Investing e provando a mettere ordine nella vita dei clienti.

Essere consapevoli che tutta la fatica e l’impegno che impieghiamo per mettere ordine porterà ad un risultato solamente temporaneo e precario, rende a volte l’onere più pesante e la motivazione più vacillante. Se però siamo altrettanto coscienti che questa è semplicemente una delle regole del gioco, diventa più semplice prenderne atto ed andare avanti.

Fatto questo passo, in genere allora mi viene posta una domanda pratica sull’implementazione del Goal Based Investing: come iniziare a costruire questo equilibrio dell’ordine? Quale atteggiamento devo avere?

Io, come un gesuita, rispondo con un’altra domanda: sai perché i funamboli, quando camminano su una fune tra un palazzo e l’altro, tengono in mano lunghe aste?

Le aste rallentano i movimenti e in questo modo i funamboli hanno più tempo per rispondere ai vacillamenti e a tornare in equilibrio. In pratica i funamboli acquistano tempo grazie a questo strumento.

Nel nostro caso, dilatare il tempo e riuscire a scavare in profondità, anche a livello emotivo, all’inizio del rapporto con i nostri clienti è lo strumento che consentirà a noi di comprendere la loro situazione (valori e obiettivi) e allo stesso tempo permetterà a loro di far chiarezza su ciò che conta di più nella loro vita.

Per far questo però dobbiamo imparare a rallentare i nostri ritmi frenetici e soprattutto la nostra naturale impazienza.

Riuscire a mantenere un equilibrio, seppur temporaneo, quando tutto è stato avviato passa invece, dal non dimenticare mai che stiamo facendo una traversata sulla fune insieme ai nostri clienti. In alcuni momenti possiamo andare più spediti, ma non possiamo rischiare di correre troppo per non perdere il punto di equilibrio acquisito e condiviso in passato, che invece deve essere continuamente reso attuale.

Un po’ come accade al funambolo che nella sua personale battaglia tra ordine e disordine cerca la strategia più efficace per ottenere il miglior equilibrio.

* Walter Benjamin

** Benoit Mandelbrot “Il disordine dei mercati” Ed. Einaudi 2005

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