Grazie! Grazie! Grazie!

C’era una volta molto tempo fa, un giovane di nome Urashima Taro che viveva in un piccolo villaggio del Giappone. Veniva da una famiglia di abili pescatori e lui stesso era considerato il migliore della regione.

Urashima era una persona gentile e amabile, lavorava tutto il giorno e si prendeva cura dell’anziana madre. Un giorno, mentre passeggiava lungo la spiaggia, osservò alcuni bambini che, dopo aver catturato una tartaruga, si divertivano a tormentarla. Dopo averla messa a pancia all’insù, le davano calci, fingevano di liberarla, ma arrivata quasi al mare la riacchiappavano e ricominciavano. Urashima cercò di farli desistere, ma i ragazzi gli dissero di farsi i fatti suoi dal momento che la tartaruga era di loro proprietà.

Il pescatore, allora mosso a compassione, prese dalla tasca le uniche monete che possedeva e comprò la tartaruga per liberarla poi in mare.

La tartaruga, molto provata ma libera, prima di scomparire tra le onde disse: “Mi hai salvato, e io te ne sono grata. Un giorno ti ripagherò!”

Con un atto di gratitudine inizia uno dei racconti giapponesi più popolari. Tale gesto iniziale condurrà Urashima Taro all’interno di un mondo fatto di avventure straordinarie e incontri meravigliosi.

Dalla più tenera età abbiamo imparato ad esprimere il sentimento di gratitudine usando la famosa parolina di 2 sillabe “gra-zie” quando i nostri genitori ci invitavano a pronunciarla in occasione di un regalo, di una gentilezza o di un atto di cortesia.

La vera gratitudine, però, non è rispondere semplicemente “grazie” quando riceviamo un gesto gentile; è qualcosa di più profondo.

Cos’è allora la gratitudine?

Come mostra la tartaruga a Urashima, la gratitudine è un sentimento che esprime affetto verso qualcuno che ci ha fatto del bene e, al contempo, desiderio di ricambiare.

Non è detto però che la possibilità di ricambiare si manifesti immediatamente (tartaruga: “un giorno ti ripagherò”); anzi molte volte dobbiamo custodirla dentro di noi e aspettare la buona occasione per ricordarci di contraccambiare. Dunque è un’emozione fatta di ricordo e premura. È un sentimento che va curato, innaffiato nel tempo e che richiede una buona memoria*.

Perché è importante parlare di gratitudine in consulenza finanziaria?

Perchè la gratitudine è qualcosa a cui ambiscono tutte le persone, anche i consulenti finanziari.

Tutti i consulenti vorrebbero ricevere un genuino sentimento di gratitudine da parte dei loro clienti per il lavoro svolto e per la loro attitudine ad aiutare. Si tratta di un riconoscimento che dovrebbe andare oltre i risultati puramente finanziari o patrimoniali.

Immagino che ognuno di noi vorrebbe vivere almeno una volta nella vita qualcosa di simile a quanto accaduto al protagonista del libro: “Grazie” di Daniel Pennac**. Nel testo si racconta di uno scrittore che, dopo una lunga carriera, è pronto a ricevere un tributo dal suo pubblico:

“Siamo a teatro, noi in platea, lui sul palcoscenico. Si alza il sipario lui è di schiena … la sala inizia ad acclamarlo …

Grida:

– Grazie!

Lui si gira e si sgola per sovrastare l’entusiasmo del pubblico:

– Grazieee!

Gli applausi raddoppiano.

Raddoppiano i ringraziamenti:

– Grazie! Grazie!

Il pubblico lo acclama, fischia, batte i piedi, un’ovazione incredibile. E lui:

– Grazie! Grazie! Grazie! Grazie!”

Ecco, a volte penso che sarebbe bello ottenere un tributo simile per il lavoro che facciamo. Peccato che non sempre la gratitudine si manifesta apertamente o, a volte, non si manifesta così come vorremmo.

Perchè accade ciò?

Prima di tutto perché il sentimento di gratitudine non germoglia a comando. Se una persona non riconosce il valore dell’operato dell’altro o la sua gentilezza, tutto è vano.

Secondariamente, chi pensa di aver diritto a tutto, o che tutto sia scontato, non vedrà mai lontanamente affacciarsi un minimo barlume di gratitudine nel proprio cuore!

Infatti, uno dei più grandi ostacoli alla gratitudine è l’egocentrismo, il culto di sé, la convinzione che tutto sia dovuto.

Riconoscere il valore del lavoro di una persona che ci accompagna nelle scelte, che ci spinge a guardare le cose da un altro punto di vista, che dedica tempo e risorse a noi, è il primo passo verso la nascita della gratitudine.

Attenzione! Si tratta però solo del primo passaggio. Da solo, non basta. Essere grati a qualcuno senza comunicarglielo, non accende nessun meccanismo!

Essere capaci di dire “Grazie!” significa implicitamente rendere manifeste le proprie fragilità e dire all’altro che grazie al suo intervento adesso le cose vanno meglio.

Lo so cosa state pensando: non tutti i clienti sono in grado di superare questi due ostacoli e riescono ad esprimerci gratitudine. Tuttavia possiamo pensare di fare noi il primo passo.

Anche noi dobbiamo essere grati ai nostri clienti perché ci hanno preferiti e perché sono rimasti con noi a percorrere un pezzo di vita insieme. Come loro, anche noi potremmo essere tentati di dare per scontata la nostra presenza e pretendere il riconoscimento del merito dei nostri successi.

A questo punto è evidente che la “vera” gratitudine è un circolo virtuoso che si autoalimenta:

  • guardando gli aspetti di valore del lavoro e della relazione;
  • restituendo un po’ di ciò che ci è stato dato;
  • ricambiando le gentilezze.

È un prezioso “unguento” che rende più fluida la relazione consulente-cliente.

Alleniamo quindi le nostre abitudini a riconoscere l’impegno e la generosità degli altri, partendo da noi stessi. Magari scopriremo, come Urashima Taro, che dando il buon esempio anche il nostro impegno e la nostra generosità sarà maggiormente riconosciuta dagli altri.

A presto!

*Attenzione quindi: la nostra naturale pigrizia ad agire e la tendenza a dimenticare ciò che ci accade non sempre aiuta la gratitudine!

** “Grazie” Daniel Pennac Feltrinelli 2004

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