Negli ultimi anni abbiamo vissuto grandi sfide e cambiamenti che mai avremmo pensato di vedere.
Nonostante l’alternarsi dei contenuti, il fil rouge è stato sempre piuttosto simile: più la notizia era eclatante (in senso negativo) più era diffusa e seguita.
Nel mondo occidentale 8 adulti su 10 dedicano circa 1 ora al giorno a tenersi aggiornati su come gira il mondo. Se ci pensi bene non è poco: sono più di 3 anni della tua vita. Peccato che le notizie a cui siamo più esposti siano quelle negative! E in tutta franchezza, trascorrere questo discreto periodo di tempo in compagnia di una fonte di così scarsa serenità non è poi un comportamento così saggio.
Perchè i racconti negativi ci accompagnano?
Masochismo? No. Esistono 2 semplici motivi per cui le persone sono tanto sensibili alle “cattive” notizie (e i media sono prontissimi a propinarle):
- “Negativity bias” o predisposizione alla negatività. Siamo più sensibili al male che al bene. Non dimentichiamo che noi siamo i discendenti dell’uomo cacciatore – raccoglitore (lo abbiamo fatto per circa 100.000 anni). Era meglio eccedere nella paura verso un ragno o un serpente, che non averne alcuna. Di troppa paura non si moriva, per troppa poca sì!
- “Availability bias” o euristica della disponibilità. Se c’è qualcosa di cui si può portare più facilmente un esempio, ecco che pensiamo subito che esso sia il più frequente. Traslandolo al mondo delle notizie: il bombardamento di storie raccapriccianti alimenta la predisposizione alla negatività e crea una visione distorta del mondo.
Insomma, nelle notizie il “buono” è noioso, banale e passa sotto traccia. Però non è così! Anche nel mondo social della consulenza finanziaria i post di consulenti che marcano la differenza di registro da parte dei media tra gli annunci strombazzati di miliardi “bruciati” nei mercati finanziari e quelli più soft (e rari) circa i miliardi “creati” sono sempre più frequenti.
Questo modo di raccontare la realtà non è prerogativa assoluta del giornalismo: in Filosofia, nella Storia, nella Psicologia ci sono innumerevoli esempi di best sellers che parlano di disastri, sventure e oppressione.
E nelle scienze? Anche qui per decenni una visione cupa dell’uomo ha dominato. I biologi, ad esempio, hanno applicato la versione più deprimente della teoria dell’evoluzione. Non appena si osservavano comportamenti “gentili” tra animali, ecco che gli studiosi li traducevano comunque in chiave egoistica: “Gli animali amano le loro famiglie? No. È nepotismo! Favoriscono le loro famiglie per favorire loro stessi”.
Nella scienza economica le cose non sono andate in diversamente.
Per circa 150 anni l’essere umano è stato definito come “Homo oeconomicus”*: un soggetto egoista e calcolatore sempre alla ricerca del proprio guadagno. Su questa visione, gli economisti hanno costruito una enorme quantità di teorie e si sono stese tantissime leggi che regolano la nostra esistenza.
Ad un certo punto però, nel 2000, a qualcuno è venuto un dubbio: ma questo “prototipo di uomo” esiste sul serio?
Joseph Henrich** e i suoi colleghi visitarono 15 piccole comunità in 12 paesi nel mondo. Il risultato? Le persone si dimostrarono troppo socievoli e disponibili rispetto a quanto definito nel “modello”. Non era possibile! Henrich così continuò a cercare la strana creatura e alla fine la trovò; l’Homo oeconomicus era presente in una comunità reale: quella degli scimpanzé.
Il commento laconico di Heinrich fu: “Il lavoro teorico degli economisti negli ultimi 150 anni non è stato inutile. Lo abbiamo semplicemente applicato alla specie sbagliata”.
Da qualche anno a questa parte biologi, psicologi, economisti, ecc. hanno iniziato un esercizio revisionista delle loro credenze, in modo da ampliarle tenendo conto di un modello di “Homo” un po’ più “multiforme” (e meno scimpanzé).
Nonostante l’azione revisionista, siamo ancora all’inizio di un percorso; per questa ragione sarei curioso di sapere: tu come ti poni rispetto a questo modo di pensare?
Chiedo, perché penso che non sia semplice essere neutri rispetto a tale impostazione di pensiero.
Nonostante si parli spesso di una relazione consulente-cliente più cooperativa, trasparente e aperta, quando incontro alcuni consulenti mi capita spesso di sentire commenti che dipingono la “specie Cliente” molto simile al prototipo di “homo oeconomicus”: egoisti, paurosi e inclini al guadagno facile.
Ovviamente non posso negare che i consulenti incontrino di tanto in tanto un esponente del “Cliente oeconomicus”. Spesso però questo avviene nella prima fase della relazione, quando il rapporto è ancora poco maturo. Non appena si è in grado di traghettare la relazione ad un altro livello, più profondo, allora lo “scimpanzé” (che è in noi) lascia spazio a qualcosa di più sfaccettato.
Il negativity bias è potente e si diffonde velocemente. Quando resti ferito o impressionato in modo sfavorevole da una persona, te lo ricordi in maniera particolare. E questo ricordo pesa molto di più di tanti altri positivi.
Per questa ragione ti consiglierei di prestare attenzione alle riflessioni e alle conclusioni che, quasi inconsciamente, decidi di trarre. Perchè quello che presumiamo degli altri è spesso ciò che noi stessi evochiamo!***
Nel caso in cui tu volessi riflettere su questo, ti invito a seguirmi ancora per qualche riga.
Ti è mai capitato di parlare a te stesso come se tu fossi due persone diverse?
Hai mai provato a domandarti se fare o non fare una cosa, lasciando spazio all’altro “te” per la risposta?
Di solito, se giochi correttamente, parte un dialogo intenso fino a quando tu e l’“altro tu” trovate un accordo.
Le nostre convinzioni e successive azioni originano proprio da questo meccanismo.
Dopo diverse riflessioni e successive esperienze ci dichiariamo sazi: tiriamo una riga nei nostri ragionamenti e stiliamo l’elenco delle nostre conclusioni che, a volte, sono dei dogmi a cui non siamo disposti a rinunciare.
In questa maniera, su molti argomenti il dialogo interiore tra TE e TE STESSO scompare. E per quanto riguarda il processo di riflessione? Buonanotte al secchio. Il mondo resta congelato secondo delle coordinate di latitudine e longitudine difficilmente discutibili e molto confortanti, perché avendo compreso il panorama in cui ci muoviamo, navighiamo in acque note.
La mancanza di dialogo interiore, sia che accada nei nostri clienti o in noi, è un grande ostacolo alla creazione di relazioni di valore.
Le persone con convinzioni granitiche (che escludono a priori punti di vista differenti) devono ricordarci che queste hanno smesso di parlare con loro stesse!
Stimolare il dialogo interiore nell’altro non è una cosa da poco. Significa aiutarlo a pensare: cioè ricominciare a immaginare, a ipotizzare e a progettare. In altre parole porgli le domande giuste lo aiuteranno ad aprirsi ad un nuovo dialogo interiore fatto di ragionamenti che potranno suggerire altri punti di vista, altri progetti e altre soluzioni.
La consulenza patrimoniale basata sugli obiettivi, o Goal Based Investing, è qualcosa in più del mero raggiungimento di un obiettivo. È un modo di vedere le relazioni umane partendo dal presupposto che l’uomo è più che economico. Molto di più!
*https://it.wikipedia.org/wiki/Homo_oeconomicus
**https://en.wikipedia.org/wiki/Joseph_Henrich
”In Search of Homo Economicus: Behavioral Experiments in 15 Small-Scale Societies” in America Economic Review vol. 91 n. 2 2001
***https://goalbasedinvesting.it/relazione-cliente-consulente/