Esiste un’asimmetria di valore tra fare domande e dare consigli e, chiaramente, il peso è tutto spostato a favore di chi “dà consigli”.
Cercare di accelerare il più possibile la comprensione del problema, balzare alle conclusioni e offrire un consiglio saggio è qualcosa che facciamo decine di volte al giorno, non solo a lavoro, ma anche in famiglia.
In generale ci piace molto dare consigli: è il segreto del successo di tutti quei tutorial che mostrano i 1000 modi per allacciarci le scarpe, ordinare un armadio o imparare un software, evitandoci al contempo la fatica di porre la domanda.
Perché però ci piace tanto consigliare?
Perchè fare questo ci dà una sensazione di sicurezza e controllo che è molto piacevole.
Andrei anche un po’ oltre: a volte, diciamoci la verità, quando vestiamo i panni del Grillo Parlante, è come se ci sentissimo su un piedistallo rispetto a chi pone il problema; ci pare di avere il controllo della conversazione, siamo quelli che conoscono le risposte. Ci sentiamo bene, direi in grande spolvero!!
Al contrario, nel momento in cui siamo noi a porre le domande potremmo sentirci a disagio (ad esempio quando queste devono far riflettere o scoprire cose non ovvie), quasi camminassimo su terreni ambigui e un po’ melmosi, aree in cui il nostro Ego non se la passa troppo bene!
Nel momento in cui decidiamo di fare una domanda “profonda” ci mettiamo nelle mani dell’altro, togliendo potere a noi stessi e, al contempo, diventiamo sorgente di valore aggiunto per il nostro interlocutore.
Quotidianamente, in quanto consulente finanziario, ti trovi a porre domande perché sai perfettamente che andare in profondità è la chiave di volta per aiutare le persone a decidere come impostare oggi il proprio futuro.
Eppure, la sensazione di disagio rimane… ed è, a volte, un bell’ostacolo da superare!
Proviamo quindi a capire meglio questo fenomeno, cercando di rispondere alla domanda:
Quali sono i principali ostacoli che ci impediscono di usare al meglio le domande?
Sarebbe comodo dare la colpa solo alla nostra educazione o alla prassi nei luoghi di lavoro: verifiche e risposte rapide sono preferite da sempre perché si pensa siano più efficaci dal momento che impattano meno sulle nostre emozioni.
Purtroppo non sempre è così! Non tutto si risolve con un quiz a crocette; la questione di base permane: quali sono le forze “oscure” 😉 che ostacolano la nostra volontà di porre domande?
A mio avviso i tre “nemici” da affrontare sono:
- la Paura;
- la Conoscenza;
- il Tempo.
La Paura
Il collega Simone è seduto davanti a Marta, sua potenziale cliente. Trascorso il tempo dei convenevoli e delle domande più oggettive, Simone nota che Marta è molto arroccata ed esitante. Simone sa che, per capire meglio le esigenze della sua potenziale cliente, dovrebbe fare delle domande che gli permetterebbero di comprendere meglio la sua situazione familiare legata agli affetti e alle credenze, sa anche però, che per poter rompere questo muro di indifferenza è necessario entrare in una sfera più intima e privata.
Come fare?
In una situazione come questa non è raro che i consulenti si sentano in un equilibrio precario: da un lato la necessità di fare delle domande di approfondimento, dall’altra la paura di apparire impertinente o fuori luogo.
Però cosa nasconde ancora questa paura? A scavare meglio, essa è strettamente legata al timore di perdere “valore” agli occhi del cliente.
Se ci pensi bene, infatti, più si va avanti con l’età e più il valore è associato al fatto di sapere già le cose, alla certezza di conoscere le risposte in anticipo. Avere dubbi o non dar mai niente per scontato, in qualche maniera potrebbe fiaccare l’ “immagine” di qualsiasi genere di consulente.
Eppure proprio quando ci troviamo a dover fronteggiare decisioni difficili dove l’ansia e la preoccupazione annebbiano un po’ la capacità di giudizio, dovremmo avere l’audacia di farci aiutare dalla forza delle domande, in modo da arrivare al cuore del problema e provare ad affrontarlo.
Se Simone sarà capace di introdurre le domande più personali a Marta, inserendole in un quadro che esprima la volontà di comprendere meglio l’altro, anche la relazione futura ne trarrà beneficio perché senza ombra di dubbio il cliente percepirà l’interesse sincero nei propri confronti.
La Conoscenza
Se la paura è il primo nemico delle domande, il secondo senza dubbio è la Conoscenza.
Più sai, meno senti il bisogno di chiedere.
Qui il problema è duplice. Chi conosce molto potrebbe:
- cadere nella “trappola dell’esperienza”, cioè: ho sempre fatto così. Ampliare e aggiornare le proprie conoscenze costa molta fatica e impiego di risorse. “Dopotutto, perché cambiare? Ho sempre fatto così ed è andata bene!”. Non potremo permetterci di sostenere questo atteggiamento ancora a lungo, dal momento che il contesto sociale, economico e politico evolve con una rapidità tale che l’aggiunta della variabile “unicità del cliente” farà vacillare questa struttura mentale basata solo e unicamente sull’esperienza passata;
- dipendere troppo da quello che si sa e sottostimare il fatto che in realtà si sa sempre meno di quello che si pensa di sapere.
Mi è capitato di incontrare qualche consulente che, per esperienze consolidate, sottostimi la possibilità di lavorare in maniera diversa dal suo vissuto diretto. In questo caso dubito che la persona di fronte a me sia realmente aperta a far domande che hanno l’obiettivo di sfidare il modo consueto di vedere le cose… È evidente che esista un forte nesso tra umiltà e domande. A mio avviso, senza la prima anche le seconde scarseggeranno; senza umiltà sarà molto facile arrivare a concludere che “se non lo so già, allora forse non è così importante”.
Il Tempo
L’ultimo nemico delle domande è senza dubbio il tempo o anzi, la sua presunta mancanza.
Eh si! Non abbiamo mai tempo a sufficienza e neanche i nostri clienti o prospect ne hanno da sprecare con domande che non vanno dritte al sodo. Vero?
Certo! Anche perché ogni giorno dobbiamo prendere decisioni rapide ed esprimere giudizi immediati e, soprattutto, fare, fare, fare… senza chiederci perché stiamo facendo quello che stiamo facendo, oppure se procedere in tale modo ha senso o sarebbe meglio modificare qualcosa.
Eppure oggi, proprio per quello che stiamo vivendo in termini di cambiamento, non è raro sentire che le persone di maggior successo spieghino di essere capaci di porre domande semplici quanto importanti:
- perché continuare a fare le cose in un certo modo?
- esiste un modo più efficace di farle?
La maggior parte di noi riesce a trovare il tempo necessario per le cose che reputano valere davvero la pena.
Quindi alla fine, forse è il momento di non guardare più il dito, ma la luna:
vale davvero la pena investire del tempo per fare domande più profonde ai nostri clienti?
Riuscire ad essere consapevoli di quali siano gli ostacoli che ci frenano dall’utilizzare le domande è sicuramente utile, ma la sfida è riuscire a far diventare ciò un’abitudine.
Se vuoi provare, allora comincia a chiederti:
- Sono disposto a far domande che non hanno per forza una risposta immediata?
- Sono disposto a prendere le distanze da ciò che so?
- Sono disposto a fermarmi a considerare la possibilità che le cose che faccio possano essere fatte in maniera diversa?
Ti lascio, ricordandoti che se il nostro obiettivo è creare relazioni solide e durature con i nostri clienti: “sono le domande che uniscono le persone e le risposte a dividerle”*.
*Citazione di Elie Wiesel, https://it.wikipedia.org/wiki/Elie_Wiesel