I miei figli lo fanno spesso e si divertono pure. Provano in tutti i modi a cogliere in fallo Alexa o Siri con domande strampalate.
Ti è mai capitato di sentire una barzelletta raccontata da uno di questi aggeggi?
“Ehi Siri, raccontami una barzelletta.”
“Si certo! Come fa il pulcino appassionato di informatica?
Micro … Chiiiip! Micro … Chiiip! Micro … Chiiiip!!”
Ovviamente l’obiettivo dei programmatori è creare degli algoritmi che adattino le risposte in modo da generare empatia e far credere che questi strumenti siano davvero intelligenti.
Ma lo sono veramente? Sono realmente intelligenti?
Indubbiamente sono stati fatti passi da gigante. Alcuni di questi prodotti sono riusciti addirittura a superare il test di Turing.
Si tratta di un test che misura se un computer, in determinate condizioni, riesce ad imitare un comportamento umano a tal punto che la persona non riesca più a distinguere se ha a che fare con una persona in carne e ossa o con un computer.
Nel 2018, ad esempio, l’AD di Google Sundar Pichai, durante una presentazione, fece effettuare due chiamate (per prenotare un taglio di capelli e un tavolo al ristorante) al suo assistente virtuale Google Duplex. Le persone all’altro capo del telefono, che dialogarono con la macchina, non si accorsero di aver preso un appuntamento con un algoritmo*.
È sufficiente questo però per parlare di “intelligenza artificiale”?
Paradossalmente l’intelligenza artificiale è diventata più intelligente, quando gli sviluppatori hanno deciso di smettere di “inseguire” l’intelligenza umana.
Dal momento che l’uomo è un po’ troppo complicato per essere replicato nei processi di apprendimento, i programmatori hanno deciso di cambiare strada.
Pensiamo ai traduttori on-line.
Qualche anno fa bastava fare un piccolo esperimento: tradurre una frase dall’italiano all’inglese e poi tradurla nuovamente in italiano. Generalmente la frase non solo non coincideva con quella iniziale, ma spesso era totalmente snaturata!
Hai visto invece ultimamente come sono migliorati i risultati?
Questo è successo perchè si è smesso di insegnare alla macchina la grammatica (come fanno i professori con i nostri figli), puntando invece tutto su una:
- grande potenza di calcolo dei computer su cui girano gli algoritmi (cresciuta moltissimo negli ultimi anni);
- enorme quantità di dati, che i computer analizzano per trovare “Pattern” (ovvero strutture o analogie) con quello che gli viene chiesto.
I computer forniscono risposte intelligenti, senza un sistema di apprendimento complesso come il nostro. Banalmente i computer fanno confronti!
Nel caso dei traduttori on line, essi confrontano i testi che scriviamo noi umani. Ne confrontano tantissimi, incrociano i dati ad una gran velocità e in un battibaleno ci restituiscono la risposta più plausibile.
Lo stesso meccanismo è alla base degli algoritmi di Google e dell’assistente virtuale Google Duplex.
Le macchine per essere intelligenti hanno bisogno di nutrirsi della nostra intelligenza e fanno delle continue operazioni di confronto**.
Insomma, in soldoni, senza la nostra intelligenza (i dati che produciamo), l’“intelligenza artificiale” non sarebbe poi così smart!***
Vuoi vedere allora che anche in finanza potremmo essere di fronte più che ad una gara di intelligenza tra uomini e macchine, a modi di interagire e comunicare differenti?
Siamo noi uomini che amiamo creare dualismi e contrapposizioni. Un po’ come quello che esiste tra fondi attivi vs fondi passivi.
Anche in questo caso un elemento si nutre dell’altro.
Ovviamente in giro per il mondo ci sono ancora molti fondi di investimento che attivi non sono, ed è giusto che il processo di eliminazione degli impostori continui in futuro …
… ma anche qui è l’uso equilibrato dei due strumenti in un portafoglio con un chiaro obiettivo che fa la differenza!
Dare il nome giusto alle cose ci aiuterebbe a non creare inutili contrapposizioni. L’uomo e le macchine, in realtà, stanno giocando due partite differenti.
Non c’è gara di intelligenza neanche in consulenza finanziaria!
Smettiamola, dunque, di creare contrapposizioni sempre e comunque.
Perché ad un certo punto questo modo di comunicare diventa sospetto e potrebbe diventar chiaro che qualcuno in carne e ossa abbia più interesse a che venga chiamata “intelligenza” qualcosa che intelligente non è!
*https://www.youtube.com/watch?v=D5VN56jQMWM&t=47s
**https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-la-lettura/20211219/281741272734633
*** di prossima uscita sull’argomento il libro di Elena Esposito, una delle più brave e affermate sociologhe italiane: “Artificial Communication: How Algorithms Produce Social Intelligence”.