Next Gen: competenze per consulenti finanziari del futuro

Sono le 10:21 del 2 giugno 2036.

“Beep” : notifica mail in arrivo per Martina.

Ecco l’elenco delle operazioni giornaliere eseguite dagli algoritmi sui portafogli dei suoi clienti.

Tutto ok.

Fra poco Martina* inizierà il secondo incontro con una nuova cliente e tutto deve essere a posto.

“Ho bisogno di questi soldi tra 5 anni, perchè vorrei aiutare mio figlio Giovanni che si trasferirà nella Biotech Bay di San Francisco. Sono preoccupata di acquistare azioni, visto che sono ai massimi storici” chiarisce Paola.

“Vorrei inoltre che i miei soldi non siano investiti in imprese produttrici di armi, tabacco o settori con forti impatti sociali e ambientali negativi” aggiunge Paola.

Martina prende scrupolosamente nota delle indicazioni e chiede: “Oltre a questo, ci sono altre cose che ti preoccupano o vorresti invece che il tuo denaro favorisse?”

Paola ci pensa un attimo: “Sì, vorrei che questo denaro fosse investito con gradualità nei mercati, magari in 12 mesi, e guardando agli obiettivi di sviluppo sostenibile …” (che dopo il 2030 erano stati rimodulati e integrati) “…  vorrei favorire quelle aziende o quei settori che hanno un impatto positivo sulla gestione dell’acqua”.

Martina conclude questo secondo incontro con Paola e torna al suo PC. Accede all’algoritmo che aveva impostato dopo il primo meeting e integra con quanto concordato.

Grazie alle ultime informazioni ricevute, Martina è pronta a creare una proposta unica e iper personalizzata.

Non è stato però sempre così!

Quando Martina ha iniziato la sua carriera, 15 anni prima, l’industria era solita usare dei portafogli modello e soluzioni pre-confezionate.

Solo i clienti con patrimoni molto grandi avevano la possibilità di personalizzare le soluzioni d’investimento con questo livello di dettaglio.

Adesso, invece, grazie all’uso diffuso di algoritmi, le società di Wealth Management hanno sempre più spostato l’attenzione sull’educazione e la comunicazione con i clienti, in modo da formalizzare, per ognuno di essi, una vera e propria politica di investimento del portafoglio.

A livello di singola impresa, la differenza di competenze e la filosofia di gestione del denaro è rimasta intatta nella sua unicità.

Quello che è cambiato, e che la tecnologia aveva reso possibile, è stata la capacità di trasformare le proprie competenze interne in righe di codice** che poi si traducono in algoritmi.

Il codice diventa quindi lo strumento per rendere accessibile a tutti la “visione interna” dell’azienda.

Gli “algoritmi generali” vengono poi personalizzati a livello cliente, grazie alla presenza “umana” del consulente.

Le gestioni patrimoniali, i “managed account”, diventano così lo strumento principe per una completa personalizzazione a livello di progetto/obiettivo ed anche di portafoglio obiettivo.

L’epoca d’oro dell’iper-robotizzazione implose molto presto. La tentazione di sostituire in toto l’uomo con i robo-advisor si dimostrò velocemente lacunosa. L’industria, infatti, si accorse che i robot-advisor erano stati pensati con l’obiettivo di rivoluzionare la piattaforma e non il metodo di relazione; dimenticando che nell’equazione della consulenza finanziaria c’è una costante fondamentale: il bisogno degli esseri umani di interagire tra loro.

Del resto come eliminare l’elemento umano, quando la merce trattata, <<il denaro>>, è così ricca di emozioni?

Al tempo, diventò chiaro per tutti che il nuovo modello di business e di relazione con i clienti dovesse essere la risultante di accordi strategici tra aziende capaci di:

  • creare algoritmi per codificare prassi lavorative consolidate;
  • gestire relazioni umane complesse che impattano sugli obiettivi e i bisogni familiari e di impresa.

Soluzioni a basso costo e poco personalizzate erano ancora presenti sul mercato.

Contrariamente a quanto immaginato inizialmente, al crescere della consapevolezza (uso del denaro) i clienti erano disposti a pagare di più, pur di avere soluzioni iper-personalizzate!

L’Uomo è sempre stato così, del resto!

Fin dagli inizi dell’evoluzione umana l’amigdala, il centro delle emozioni e della motivazione nel nostro cervello, è stata sempre concentrata sulle discontinuità e sulle differenze rispetto alla “normalità”.

La diversità attrae!

Nel nostro caso però, la diversità non è solamente la risultante del processo di iper personalizzazione delle soluzioni, ma è soprattutto, il modo attraverso cui il consulente si relaziona con il cliente.

Per questa ragione le aziende più lungimiranti decisero di investire nell’evoluzione del processo di relazione consulente – cliente.

Da tempo la lezione da imparare era davanti agli occhi di tutti: quando non attiriamo l’attenzione è facile respingerci con obiezioni di ogni genere.

Spesso è proprio perché i clienti non vedono nessuna differenza tra noi e i nostri concorrenti, che ci troviamo in difficoltà a rendere visibili tutte le nostre competenze.

Martina aveva già imparato questo. Così nel primo incontro con Paola aveva cercato in tutti i modi di creare qualcosa di unico.

Era stata la sua capacità di colorare la relazione, che aveva creato il ponte di fiducia su cui basare il loro futuro rapporto!

Per questo dico a Martina e a tutti i giovani consulenti che iniziano oggi questa professione, che il loro futuro sarà roseo se sapranno sviluppare un metodo che fin da subito renda unica la propria relazione col cliente.

* Articolo ispirato da una recente lettura e dalla relazione con due giovanissimi consulenti con cui ho da poco iniziato un corso di introduzione al Goal Based Investing.

** Il codice sorgente di Google sarebbe composto da circa 2 miliardi di righe di codice.

https://thenextweb.com/news/googles-codebase-spans-2-billion-lines-40-times-bigger-than-windows

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