Ogni tanto mi chiedo: come mai un’intera generazione di economisti e di esperti di finanza ha spinto in un angolo piccolo piccolo il concetto di “incertezza” a favore di quello di “rischio”*?
Quanto quest’ultimo sia entrato nel nostro modo di pensare e valutare le cose, lo si desume da quante persone incontriamo che rispondono “non lo so!” ad una domanda sul proprio futuro.
Mervyn King, ex Governatore della Banca d’Inghilterra, nel suo ultimo libro l’“Incertezza Radicale” **, riporta un esempio emblematico.
Quando Barack Obama dovette decidere se dare l’autorizzazione ad attaccare la casa dove, ipoteticamente si nascondeva Osama Bin Laden, chiese ai consiglieri della CIA se in quella casa in Pakistan ci fosse davvero Osama Bin Laden.
Questi risposero fornendo delle probabilità:
- uno disse sì al 90%;
- un altro sì al 60%;
- il terzo sì al 70%;
- l’ultimo diede una probabilità del 40%;
A questo punto Obama disse: “per me questo significa che siamo di fronte ad una probabilità del 50/50. Non posso decidere in base alle vostre risposte”.
King giustamente chiosa: “avrebbero potuto dire più semplicemente: non lo sappiamo”.
E’ difficile dire: “non lo so!”. E’ più facile utilizzare probabilità soggettive, anche se con scarso fondamento.
Oggi le cose stanno cambiando. Volenti o nolenti, il concetto di incertezza sta prepotentemente facendosi strada nelle nostre vite, mettendo a nudo la fragilità più importante degli italiani:
Vivere nel presente!
Ovviamente vivere nel presente non è sbagliato di per sé. Lo diventa, se ha a che fare con la gestione del risparmio e del patrimonio della famiglia.
Sì, perché come sapete la finanza è tempo futuro!
Tale atteggiamento spiega molti dei dati che ci vedono protagonisti, in negativo, di tutte le classifiche sull’alfabetizzazione finanziaria.
Riflettiamo. Quando viviamo marcatamente nel presente, non abbiamo grossi incentivi a:
- conoscere il valore monetario del tempo;
- comprendere bene la regola dell’interesse composto;
- comprendere il funzionamento della diversificazione delle asset class in un portafoglio. Se il mio “investimento” preferito è il conto corrente, quello che diversifico, al massimo, è il rischio intermediario. In questo caso vale il concetto ingenuo di diversificazione: metto le uova in più panieri (istituti);
- pianificare per il futuro.
Tutti aspetti in cui l’OCSE*** riconosce all’Italia gli elementi di maggiore debolezza in termini di alfabetizzazione finanziaria, rispetto ad altri paesi.
La battaglia delle battaglie è “ribilanciare” il presente e il futuro degli italiani a favore del futuro. Sì, ma come?
Sul “come fare” il Goal Based Investing rappresenta un tool interessante da utilizzare, a patto che si abbiano ben chiare alcune regole.
Quando aiutiamo i clienti a pensare ai loro obiettivi, la tentazione è di concentrarsi sugli aspetti positivi. Farli sognare in grande e guardare bei sorrisi allargarsi sul viso…
Tuttavia, indagando meglio, se studiamo le cose che “pre-occupano” il nostro cliente Giacomo o la nostra cliente Francesca, scopriamo obiettivi che resistono al passare del tempo.
Intendo dire:
“Quali sono le cose di cui Giacomo o Francesca vuole occuparsi prima che producano un effetto negativo nella propria vita?”
Il cervello umano funziona così.
C’è differenza tra:
“Cosa ti piacerebbe fare?” e “Per cosa sei disposto a soffrire?” ?
Assolutamente sì!
Il guru della negoziazione Chris Voss, in un’intervista con Farnam Street, dichiarava: “C’è una statistica interessante là fuori che dice che il 70% delle decisioni di acquisto sono prese più per evitare perdite che per ottenere guadagni“.
Guarda, guarda…
Le cose che ci stanno più a cuore, quelle che potrebbero essere più a rischio (vista la situazione attuale), sono proprio le cose per le quali siamo più disposti a soffrire per garantirci un futuro meno aleatorio.
Alcuni esempi?
- Mantenere il nostro tenore di vita attuale;
- Permettere ai nostri cari di vivere una vita serena, dove possono scegliere e continuare a crescere;
- Essere autosufficienti e non pesare troppo sui figli o su altri componenti della famiglia;
- Aiutare chi soffre.
Sono solo alcuni classici esempi.
Ogni cliente ha i propri obiettivi “iceberg”. Di primo acchito, appaiono modesti e poco visibili. Se però non vengono raggiunti producono frustrazione e dolore. Sotto la linea dell’acqua, occupano invece un grandissimo spazio, di cui a volte il cliente stesso non è pienamente cosciente. Il consulente Goal Based, allora, aiuta a scoprire, dettagliare e gestire ciò che conta davvero per il cliente e, solo dopo, “prescrive”.
Qualche settimana fa mi è stato chiesto: “pensi che l’approccio Goal Based alla consulenza finanziaria degli italiani possa avere un impatto significativo sulla gestione del “presentismo”?”
Rispondo: “non lo so!”
Quello che so è che l’impatto dipenderà da quanti consulenti decideranno di orientare con coscienza e serietà i loro sforzi verso il Goal Based nell’immediato futuro.
Mi rendo conto che la sfida è elettrizzante!
Sono però altrettanto certo che ogni risultato che otterremo, anche se piccolo, avrà un valore immenso per tutte le persone che lo vivranno.
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